{una modesta proposta_2} Vuoto 36

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Retroattivamente abbiamo deciso di ricomprendere tutti gli articoli che usciranno sul tema di editoria e nuove scritture nel macroinsieme UNA MODESTA PROPOSTA, contenitore che si prefigge di abbracciare interventi teorici, pratici e fisici; in effetti una prima fisicizzazione, la puntata pilota, c’è già stata nel maggio del 2015 presso la Libreria Coop-Zanichelli di Bologna. Quella prima tavola rotonda era specificamente sull’editoria di poesia, adesso UNA MODESTA PROPOSTA getta le basi per una riflessione allargata e più articolata.
Con questo secondo appuntamento, dopo l’articolo di Luca Rizzatello su editoria e nuove scritture, vogliamo proporre una riflessione forse insolubile, che per un motivo o un altro ognuno di noi è giocoforza costretto a affrontare nel corso del tempo, ogniqualvolta ci si trovi davanti a un’opera nuova in attesa di giudizio. Lo facciamo con la massima aderenza alla materia (letteraria in questo caso) pubblicando un testo poetico  inedito di un nostro redattore.
Grossolanamente e annosamente, senza entrare nei dettagli della critica o dell’estetica (almeno per il momento):  chi può decretare la qualità di un’opera? Chi può prendersi l’onere (l’onore?) di stabilire cosa sia valido e cosa, al contrario, non lo sia?
[dia•foria cerca di porsi come un osservatorio di tutte le esperienze di ricerca letteraria che si manifestano però e purtroppo, quasi  esclusivamente nelle piazze e sottopiazze mediatiche, bazzicate, bene o male, sempre dalla stessa ‘cerchia di amici’.
Sulla base di che cosa giudichiamo spazzatura quella letteratura che vende migliaia di copie e permette ai suoi autori di camparne? E non è forse che in questo status di emarginati delle lettere ci sguazziamo alla grande quasi con vanto?
La riflessione non deve restringersi al solo campo della scrittura di ricerca naturalmente, ma, come dicevamo poco sopra, può riguardare qualsiasi campo artistico.
Per esempio la storia del “cinepanettone”. Quando nell’ultimo scorcio dell’anno i cinema propongono il meglio della produzione italiana e non, certe domande tornano a ronzarci in testa. In modo facilmente polemico indichiamo ad esempio “Quo Vado”, il film di Checco Zalone, che ha battutto tutti i record di incassi. Sicuramente lo Zalone non poteva sperare di vedere molti di noi ‘amici della cerchia’ in fila per farsi strappare il biglietto, eppure non crediamo se ne sia  curato poi troppo. Anzi, forse siamo proprio noi a sbagliare. Quasi quasi c’è anche un’inversione di tendenza, blandamente si vanno a giustificare lavori come questo, “hanno una loro funzione”,  “mi faccio due risate”, “servono per distrarre”, etc. Ecco il punto sta proprio lì quel distrarre abbassa il senso critico dunque estetico e però non si capisce più se il problema sta nella domanda o nell’offerta. (Cercheremo di scrivere in futuro una “Fenomenologia di Zalone e degli zaloniani”)
Com’è possibile che questa minoranza di cui orgogliosamente riteniamo di far parte sia la sola a capirci qualcosa quando si parla di arte? Già, quali sono i punti forti che questa stessa minoranza può opporre?
I numeri parlano da soli. Altri sanno meglio di noi ciò che la gente desidera. Certo, noi non diamo alla gente quello che la gente vuole, non siamo mica mercenari, venditori di fumo, noi. Noi proponiamo l’Arte con la A maiuscola, la sola che abbia diritto di essere considerata tale. Noi non abbiamo bisogno di strizzare l’occhio all’eventuale fruitore. Al massimo lo strizziamo a noi stessi, guardandoci compiaciuti nello specchio.
I più preparati, gli intelligenti avranno già la risposte giuste, noi della cerchia di amici ci accontenteremo di continuare a pensarci su.
Il vuoto qua di seguito sottende altre domande e altri spunti riflessivi, questo è solo un cappello introduttivo, a voi, se vorrete, l’ampliamento della discussione, buona lettura.

p.s. si consiglia di leggere questo articolo dopo aver consumato una bottiglia di vino e tre whisky per ritrovarsi nello stesso stato emotivo dell’autore

 

VUOTO 36

di Ermanno Moretti

 

Partendo dal presupposto sgretolamento del movimento ispirativo come
base di una qualsiasi opera artistica, prima ancora che relazionarsi a
forma e/o contenuto
l’autore (il poeta, il pittore, l’artista in generale),
per assicurarsi un minimo di buona riuscita dell’opera stessa può e deve
tenere conto di:

come può influire lo stato d’animo sulla composizione del testo.
Come può influire lo stato d’animo sulla comprensione del testo.
Come può influire lo stato d’animo sulla compensazione del testo.

L’autore approccia
lo spazio bianco,

vuoto,

a lui davanti
(sia specificato da ora e per sempre che la coniugazione al maschile è
solo dettata dalla comodità)
in modalità differenti a seconda del proprio stato d’animo.

La tutt’ora ignota necessità di tradurre in un qualsivoglia linguaggio
artistico-comunicativo i propri pensieri,
o peggio le proprie emozioni,
è soggetta a una variabilità incanalabile, volta volta, nei comuni
stati d’animo riscontrabili nell’uomo (sineddoche).

Emozionare il fruitore
dell’opera compiuta fino alle lacrime
è da considerarsi molto positivo.
Per riuscirci l’autore fa di tutto
per ritrovarsi nei più disparati stati d’animo
a seconda, anche, del campo in cui si cimenta.
Se ascoltiamo Boito (l’architetto, non certo il fratello che, forse, avrebbe avuto poco o tutto da obiettare…): la gioia fa il pittore, il dolore il poeta.
Prendiamo quest’ultimo, per esempio, nella ricerca del tragico,
arriva,
             talvolta,
                           a desiderare,
se non addirittura procurare,
                                            la morte dei propri cari.

Malgrado la comprovata impossibilità di rendere nel dettaglio il proprio
stato d’animo
l’autore, incomprensibilmente
(l’avverbio è riferito non al tentativo in sé, ahilui, fallimentare,
bensì alla motivazione che spinge l’autore a perseverare nei suoi
tentativi inutili di traduzione dei sentimenti di cui sopra), anche non
fornito di grandi capacità empatiche, sarà percepito con tutto e per
tutto il suo proprio mood del momento creativo.
Da notare poi che se il fruitore dell’opera, al momento della fruizione,
si trovasse
nel medesimo
stato d’animo dell’autore al momento creativo,
questi sarà in grado di amplificare la portata del messaggio dell’autore
fino a combaciarne (nella comprensione) gli intenti iniziali, nonché

i sentimenti esatti.

In non poche circostanze si arriverà anche all’eccederli.

Il giudizio finale sull’opera sarà positivo se l’opera è buona.

Se l’opera è buona non piacerà granché.

Ma se è buona potrà andare a ingrossare le fila delle buone
opere di nicchia.

La cosa sembra essere straordinariamente cool, tanto da creare
aspettative a ribasso da parte degli stessi autori che una volta
etichettati come di nicchia, avranno dalla loro il fascino di chi non
può essere realmente capito fino in fondo.

Talvolta,
nei rari casi in cui, l’opera di nicchia,
venga capita e apprezzata da
un numero
sufficiente di fruitori tale da permetterne lo sdoganamento
dall’etichetta di nicchia
e il conseguente, naturale, inserimento nella categoria Opere Popolari,

si assiste all’abbandono, al ripensamento,
al rinnego

dove l’autore dell’opera in questione
corre ai ripari cercando di costruire
qualcosa
che gli permetta di rifugiarsi di nuovo in quell’etichetta di nicchia
cui tanto è legato

dove può ri(n)chiudersi
(e)a piangere su se stesso e sul sordo mondo che non capisce.

Se l’opera non è buona
l’autore potrà sempre contare su un’alta probabilità che l’ipotetico
eventuale
fruitore, fruendo,
si trovi in uno stato d’animo simile a quello che era il suo nel momento
creativo.
Si avrà, quindi, la
immedesimazione
che accrescerà il valore qualitativo specifico dell’opera.
Se l’opera non è buona, quindi, avrà grandi possibilità di
piacere comunque.

Ci si spalanca ora il ventaglio delle ipotesi
e tesi a sostegno di cosa è buono e cosa non lo è.

Noi già posteri di questa domanda
rimettiamo ai posteri:

dove sta
la qualità?

 

Ermanno Moretti

 

 

Ermanno Moretti è nato a Pietrasanta (Lu) nel 1975. Vive a Viareggio. Da circa tre anni è diventato membro della rivista di arti e letteratura [dia•foria per la quale sta curando attualmente alcune traduzioni dall’inglese di prossima uscita.


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2 risposte a “{una modesta proposta_2} Vuoto 36”

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