Intervista a Debaprasad Bandyopadhyay

Dato che La storia di Bharat pubblicata in [dia•foria n°5 presenta molti riferimenti di psicologia e cultura indiana, abbiamo pensato di realizzare un’intervista con l’autore, Debaprasad Bandyopadhyay, contenente una serie di domande (e risposte) al fine di fare chiarezza su alcuni aspetti del suo racconto misterioso. L’intervista risale al 29 Aprile 2011.

D1) Il protagonista della storia è uno studioso di lingue che viene ben presto abbandonato dal mondo accademico a causa delle sue ricerche troppo sperimentali. Visto che tu sei Assistente di un Professore di Linguistica, ci sono altri riferimenti autobiografici nel racconto?

R1] Bharat era un linguista, non un poliglotta, che non si limitava a studiare le lingue. Avrebbe dovuto analizzare il linguaggio attraverso il dispiegamento di regole grammaticali di frammentazione. Era alquanto annoiato da questo meta-linguaggio sul linguaggio (ovvero: il lavoro del linguista). Non era neppure un “accademico”; si trattava di un saggio oratore {o perseguitore di saggezza}. Percepiva il “corpo sanguinante” della sua lingua nel momento in cui essa veniva trattata come un “oggetto” e successivamente frammentata in parti tramite l’uso di tecniche formali di linguistica. Pertanto si collocò in una zona totalmente diversa, una zona silenziosa, lo spazio al di fuori della linguistica tradizionale. È a un tempo uno straniamento e un rifiuto (chiusura a priori) dell’ altro violento. Non stava sperimentando alcunché visto che era contrario al metodo scientifico di ricerca della verità che oggettivizzava la (non) esistenza umana. Invece pose se stesso come soggetto (non come oggetto) del suo studio, sperando di annullare l’ “altro violento” rimanendo in silenzio. Dalla sua ipotesi anti-chomskiana iniziale di “creatività ferita” (“Non si possono creare infiniti insiemi di frasi a partire da un insieme finito di parole, se il proprio corpo è parte integrante della socialità dell’altro violento”) si spostò nella silenziosa area della non-linguistica. La linguistica, come viene concepita oggi, non è affatto interessata dalla semantica del piangere, del mordere, del gemere (persino al momento dell’accoppiamento o dei preliminari, il momento dell’atto-piacere-desiderio), del respiro, del lamento, del sospiro (di sollievo o di depressione), eccetera. Bharat giunto a un certo punto della sua vita, non poteva più distinguere tra un anormale e un normale modo di parlare. I linguisti, specie quelli tecnocratici, come scienziati lo respinsero veementemente per tale sua posizione. Fu abbandonato dal suo istituto per un motivo: non era una marionetta.

Sì, ci sono dei riferimenti autobiografici ma il personaggio principale, Bharat, è completamente diverso da me. Non è un ipocrita come me. Il suo personaggio è stato costruito sulla base di alcuni ideali e idoli che non corrispondono alla mia esprienza di vita. Potrebbe essere il mio alter ego… questo è quanto potrei dire a proposito di “autobiografia”. Un racconto riflessivo con un riferimento {espresso} in terza persona è qualcosa di diverso da una cosiddetta auto-biografia. Qui in questo testo su Bharat, la separazione tra finzione e realtà è sfumata. O meglio, quando scriviamo qualcosa, anche nel caso di uno scritto scientifico, non possiamo sfuggire alla nostra soggettività antropocentrica. La cosiddetta oggettività è una chimera.

D2) Uno dei significati di “Bharat” è India. Stai forse dicendo che una tale sperienza sarebbe potuta accadere solo in India o in un contesto orientale?

R2] Bharat (nome proprio) è diverso da Bhaarat (India), nonostante la mitologia ci dica che il nome Bhaarat (India) derivi dal nome di Bharata lo zombie (sanscrito Jadabharata), il personaggio che ho anacronisticamente introdotto durante il racconto.

L’esperienza di Bharat era “glocale” (globale+locale). Se non puoi credere alla posizione dell’India nell’indice di corruzione (http://en.wikipedia.org/wiki/Corruption_in_India), il proliferare di attività illegali o “non-etiche” in India non è più un segreto ed è motivo di scontento tra la gente. Bharat soffriva troppo come [alla stregua di] un cittadino indiano colonizzato. La sua zona geo-politica era controllata da un rigido partito marxista-comunista (si trattava di una maschera! Il partito oggi è totalmente ignorante di cosa sia il marxismo. Qui viene praticato un marxismo volgare). E quando fu premiato dal governo centrale e andò nel sud-ovest dell’India per usufruire di una borsa di studio da “non-residente” (nota il paradosso: stava conseguendo una borsa di studio per non-residenti lasciando la sua residenza) fu anche torturato da un altro fanatico partito religioso per la sua strategica posizione non collaborativa. {il paradosso consiste nel dover spendere del denaro per trasferirsi e così usufruire della somma della borsa premio finendo per rimetterci}

La sociologia della “colta” tribù accademica and il suo susseguente scellerato nesso con i partiti politici (in un rapporto padrone-cliente) è ancora da scrivere con cosiddette prove empiriche. Dobbiamo pertanto usare i termini “mafia accademica”, “burocrate accademico”, eccetera, per descrivere la situazione.

Tuttavia avrei qualche domanda a proposito del concetto di “corruzione”: qual è la norma e cos’è la “deviazione”/”corruzione”? Esiste una norma universale, intesa come patrimonio genetico dell’uomo sapiens? Al momento non credo.

D3) A un certo punto della storia introduci un nuovo personaggio, Bharata (la materia). Sebbene abbia potuto riscontrare alcune similitudini con la situazione di Bharat (entrambi si ritirano dalla vita, così come la intendiamo noi, e raggiungono uno “stato silenzioso”) vorrei che tu lo spiegassi un po’, se possibile. Mi sembra una di quelle tipiche storie buddiste (chiamate “koan”) che non possono essere spiegate direttamente. Voglio dire, i koan lasciano sempre al lettore quella sensazione di incompiutezza che può completarsi solo internamente (una specie di illuminazione). È quello il suo scopo?

R3] Potrai trovare diverse interpretazioni di zone silenziose/”silentemi” {analogo silenzioso dei fonemi} in varie filosofie indiane (sto qui includendo tutti i cosiddetti santi “illetterati” {non colti/ignoranti} del Sahajiya, Sufi o Vaisnava, vedi Nanak, Kabir, Dadu, Lalan e altri entro questa categoria costruita invece di limitarmi solo ai testi sanscriti). Vorrei ricapitolare questo con qualche parola tecnica {in più} e secondo le mie interpretazioni.

Ci sono quattro tipi di “linguaggi”: baikhari (il parlare nello stato-{conscio}/sveglio [jagrat] attraverso un effimero sistema di segnali arbitrari epi-fenomenali, lo stato più falso), madhyama (il parlare nel {un po’ meno} falso stato-sogno, svapnavastha), pasyanti (il non-parlare nel più profondo stato dormiente o susupti; stato {ancor meno} falso) e paravak (‘para’ significa ‘oltre’ e ‘vak’ è il ‘parlare’); questo stadio trascendentale non parlato e indescrivibile può essere raggiunto mediante certe tecniche formali o informali da ricercare dentro il corpo. Non è né vero né falso, ma non lo possiamo descrivere tramite il baikhari, il madhyama, eccetera. È qualcosa oltre il logos e non relativo a “Dio” in sé (il Dio Supremo viene percepito nello stato di sogno pronfondo, uno stato falso). A questo livello, il silentema inghiotirebbe il non-silentema (a la Lalan). Ciò che deve essere menzionato è che le varie parti del corpo e i canali dentro il corpo sono legati a questi quattro stati del (non-)linguaggio.

Tuttavia desisto dallo spiegare la logica e/o l’epistemologia dietro tale categorizzazione e gradazione dei linguaggi e del loro grado di verità. Occorrerebbe più spazio.

L’obiettivo finale è raggiungere tale paravak con l’aiuto del nostro corpo senza dispiegare alcun metodo formale. La cessazione del lavoro desiderato è qui auspicata (Bharat lo fece) – una tipica contraddizione non contraddittoria o aporia. La fusione tra soggetto e oggetto avviene con l’identità nella differenza quando il “piccolo io” (non) è fuso con il “Grande Io”. Tuttavia dobbiamo “ritornare” al mondo concreto dopo aver raggiunto tale stadio [paravak] per il bene del “lokosamgraha” (detto brutalmente, l’impegno mondano). Dobbiamo raccontare le storie del paravak, la cosiddetta meta-zona del silentema, attraverso un sottile baikhari ad altro.

Se dovessi scrivere il seguito di Bharat, vorrei mostrare questo viaggio di Bharat verso il paravak sfruttando l’associazione tra la musica e l’architettura indiana, la quale è ancora una volta connessa alla tassonomia del corpo, un’altra cosa rispetto alla fisiologia. Ci fu un dibattito interessante tra Nirmal Kumar Bose e Stella Kramrisch: i corpi dei templi Hindu furono costruiti sulle basi di una congettura corporeo-fisiologica o meta-fisiologica del corpo? Mira Mukherjeei mostrò il percorso quando ci introdusse il Visvakarmas. Il cosiddetto corpo metafisico è evidente nell’architettura Hindu. Le associazioni baikhari-jagrat, madhyama-svapna, pasyanti-susupti potrebbero essere qui stabilite con molti percorsi {detti anche margas} sadhaniya (da praticare). Kavir, Dadu, Lalon, Rabindranath Tagore (sebbene non scrivessero su riviste accademiche) e altri sahajiyas insieme agli autori di Mandukyoponisad, Vakyapadiya and Tantraloka possono essere consultati per acquisire il livello del paravak. La domanda è: perché stavo frammentando (balbettando?) il fragile baikhari quando mi stavo svegliando?

Adesso lascia che passi al concetto di “interno” (corpo). Allo stadio del paravak sappiamo che identità e differenza tra interno ed esterno si confondono. Lascia che lo spieghi con l’esempio del famoso fallo di Siva (un Dio Hindu) assieme alla vagina della sacra madre dea della comunità Hindu. Nell’icona di sivalimga (il pene di Siva che viene simboleggiato da un fallo), esso penetra nella vagina e ciò che gli Hindu hanno adorato è una parte del corpo penetrata. Percepiscono [quindi] il momento dell’accoppiamento dall’utero così come dall’esterno. Coloro che percepiscono sono contemporaneamente dentro e fuori l’utero della sacra madre. Le loro posizioni (non) sono entro il corpo della madre e avvertono il pene del padre; e gettano latte bianco sopra il fallo dall’esterno. L’interno è fuori e l’esterno è dentro – anima fuori e dentro… Questo “interno-esterno” sfumato fu teorizzato da Derrida tramite il concetto di ‘hymen’. Perciò tale aporia è molto difficile da descrivere (nei crudi termini del baikhari). Pertanto ciò che tu/io pensiamo come sentimento interiore può essere una sensazione esterna o meglio, una sensazione “interna-esterna”.

In ogni caso il motivo per cui ho inserito la storia di Bharata è che tale personaggio mitologico si ritirò dalla professione/lavoro che desiderava e il contemporaneo Bharat fece la stessa cosa.

D4) Una volta mi dicesti che stavi “cercando una comunicazione di tipo diverso: un’interazione di silenzio ma che dev’essere spiegata ampiamente con i nostri segni arbitrari del linguaggio” (cito le tue stesse parole). Dopo aver letto la storia di Bharat ho avuto la sensazione di una rinascita, un nuovo inizio per il protagonista mentre le tue parole sembrano indicare il silenzio come un punto di arrivo. Quale pensi sia la giusta interpretazione?

R4] A proposito di comunicazione, prendendo spunto dall’ultima risposta, devo aggiungere che le varie parti del corpo (dai quattro ai sette punti entro il corpo dell’individuo – ci sono diverse scuole di pensiero al riguardo) quando sono collegate dai canali corporei, dovrebbero essere connesse “non-distaccatamente” con l’intero univeso – una parte si fonde con il tutto – i particolari sono diventati universali – questa è la traiettoria dal “piccolo io” al “Grande Io”. A questo punto c’è a un tempo identità e non-identità con l’Universale. Siccome non posso raffigurarla mediante il semplice baikhari (anche se ci sono dei baikhari {più} “sottili”/{fini}) non posso far altro che usare il termine “silentema” anche se so di non sapere alcunché del silentema trascendentale assoluto/universale. Sono {tuttavia} molto scettico a tal proposito. In qualità di non praticante di tale “teoria” mi trovo in difficoltà con l’epistemologia e l’etica della fusione tra particolare e universale.

Lascia che spieghi le relazioni “distaccabili” e “non-distaccabili”. Supponiamo adesso di essere connessi da un qualche congegno anti-ecologico come un computer, un satellite, eccetera. Esempio: siamo connessi via internet – abbiamo un certo legame. Questi legami possono essere facilmente interrotti a seconda del nostro umore o da qualche situazione catastrofica. Però c’è modo di separare il fruscio e le foglie quando ascoltiamo il loro fruscio? Questo è un altro esempio di relazione non-distaccabile che viene definita samavaya. La relazione/comunicazione tra “piccolo io” e “Grande Io” priva di qualsiasi strumentazione è qualcosa di diverso dall’anti-ecologica tecno-centrica rete di comunicazione presente tra me e te.

D5) Potremmo collegare questo nuovo tipo di comunicazione all’uomo pre-istruito (che sapeva nè leggere nè scrivere) di Marshall McLuhan? Egli fu uno dei primi a rendersi conto della preponderanza della visione [unilaterale] sugli altri sensi (tatto, udito, olfatto e gusto) e il suo effetto sul nostro modo di interpretare la realtà contrariamente all’uomo pre-istruito che viveva in un contesto di tipo uditivo [cioè multidirezionale]. Pensi che stiamo tornando indietro, per così dire, a una tale condizione primitiva a causa della galassia elettronica multi-connessa (internet) nella quale ci troviamo come disse McLuhan?

R5] Vorrei rispondere alla tua domanda senza citare il nome di questo grandissimo guru dei media, Marshall McLuhan, per alcune ragioni personali. Il racconto di Bharat e persino il suo ancora da scrivere seguito non sono in alcun modo legati alle grandi idee di McLuhan.

Mi piace distinguere due tipi di rete (web): (a) una sinestesia anti-ecologica e tecnocentrica; (b) una sinestesia con una connettività corporea non-distaccabile. La prima, per quanto la utilizzi adesso nella rete elettronica (web), è una legittima possibilità. Tuttavia, tenendo presente l’incombente disastro causato dall’antropogenico riscaldamento globale, non ho alcun impegno verso una tale pratica. Giunti a questo momento catastrofico, dobbiamo sottoscrivere non lo sviluppo sostenibile di una tale evidente comunicazione basata sulla rete internet (si prega di notare come Bharat fosse un dissidente – fosse contrario alla linguistica computazionale) bensì la ritirata sostenibile dalla colonizzazione cibernetica del capitalismo elettronico controllato dalle mani invisibili dei “Padroni dell’Universo” (alla Adam Smith), i quali promuovono il fondamentalismo del mercato attraverso la più grande metafisica: “il denaro” che rende uguali e non-uguali. Si potrà estirpare questo controllo monetario dalle mani invisibili (senza usare la violenza) ma non si potrà evitare il cosiddetto disastro ‘naturale’ antropogenico.

Nel caso di connettività (da “antenna corporea”) non-distaccabile o samavaya, che deve essere conseguita con l’aiuto del medium-corpo invece che del medium-web, ci sarebbero contemporaneamente sia un messaggiare che un massaggiarsi da soli (cioè la cura di sè stessi, Epimeleia Heautou). {Occorre trovare?} Un diverso tipo di scrittura – una scrittura arcaica (a la Derrida), che non sia solo un’iscrizione di un (de)codificato flusso di segni su carta o su uno schermo illuminato rispettivamente, ma che sia iscritta entro il corpo erudito. Il termine “scrittura” è qui usato nel senso “robusto” [ampio?] della parola e perciò è in gioco la definizione stessa di lettaratura. In secondo luogo, qui ritroviamo il ribaltamento del ruolo dei nostri organi di senso come fu scoperto una volta da Rabindranath Tagore e Jean Paul Sartre. Essi proposero che alla termine dell’interazione utilitaristica del baikhari avremmo potuto ascoltare con gli occhi o la pelle, vedere con l’orecchio, assaggiare con il naso, eccetera. Qui si può parlare di musica come una performance. Barthes la chiamò “musica practica” e Christopher Small coniò il termine “musicking”, un verbo anziché un sostantivo.

Devo qui precisare che sono altamente influenzato da Rabindrasangit (Musicking di Rabindranath Tagore) e che sto cercando nelle sue composizioni segni di questi “punti-corporei” (che ho etichettato come “dehotattver gan”, canti sulla teoria del corpo, seguendo la nostra tradizione Baul) o nei canti della teoria del corpo che ho descritto poc’anzi.

In ogni modo mentre nei paragrafi precedenti stavo ascrivendo l’importanza relativa di (b) condannando (a), commettevo lo stesso errore di Rousseau: condannare la scrittura scrivendo libri sulla non-scrittura. Non mi sarebbe stato possibile connettermi a te senza (a) e non sarebbe possibile persino connettermi ad altri senza (a). Devo quindi ammettere, questa è la mia colpa, di essere incapace di raggiungere (b) – tali sono i miei limiti che (pur possedendo potenzialità non sfruttate) non provano alcunché. Il mio povero corpo è troppo stanco adesso per affrontare/combattere con tale macchina.

Tuttavia puoi considerare o interpretare la mia posizione paradosale (in realtà non è un paradosso bensì un caso di contraddizione non contraddittoria) come un ritorno al mondo [concreto] delle utilità (a) dal silentema trascendentale (b) per il bene della lokasamgraha. No, sto scherzando, non ho raggiunto un tale stato di paravak… La tua domanda mi stimola comunque a scrivere il seguito della storia di Bharat.

D6) John Cage, il compositore americano, può essere considerato uno dei grandi maestri del Silenzio e per questo hai citato i suoi lavori nella storia di Bharat. Sei d’accordo con il suo pensiero riguardo lo scopo della musica che è quello “di acquietare la mente rendendola così suscettibile alle influenze divine”? O, come disse in altro modo, “di imitare il modo di operare della natura”, cioè di agire senza alcuno scopo?

R6] Non conosco questo fine ultimo pre-determinato {lo scopo della musica secondo Cage} – John Cage è apparso nella mia vita come una scintilla (sanscrito sphut, il fiorire). Lo ringrazio perché viene continuamente in mio aiuto salvandomi dalle mie depressioni personali. Alla stregua dei canti di Tagore o le melodie Baul, sono pure sopraffatto da Cage. Sono d’accordo con lui a tal proposito visto che sono totalmente disturbato dal proliferare del rumore industriale. Il mondo adesso è “una storia raccontata da un idiota, piena di suoni e rumori che non significano alcunché”.

D7) Mitra è una donna? Leggendo i primi paragrafi della storia Mitra è un uomo visto che ti riferisci a lui in termini maschili. Ma alla fine del racconto quando Mitra e Pancajani si spostano in un’altra stanza per avere un rapporto sessuale affermi “Pancajani si aspetta che Mitra sia una super-donna, un’eroina” che è in qualche modo conesso al Silenzio di Bergman a causa della presenza delle due sorelle (tra cui c’era una tensione omosessuale). Potresti per favore chiarire questo dubbio?

R7] Ho usato deliberatamente questo paradosso per confondere l’identità sessuale che è un altro problema teoretico! Mitra è un maschio ma Pancajani sta cercando una super-donna e dunque ciò si lega al dibattito su gli omosessuali e i transessuali. Mi ricorda John Cage quando gli fu chiesto della sessusalità e rispose citando una caratteristica dei funghi: esistono diversi tipi di maschio e di femmina nelle specie di funghi il che stabilisce una certa compatibilità/affinità tale che solo alcuni tipi di fungo maschio possono accoppiarsi con altri tipi di funghi femmina e così via. Penso volesse suggerire un simile modello di affinità anche per gli esseri umani, rompendo gli schemi sessuali abituali. Per John Cage il modello maschio/femmina era una visione un po’ troppo semplicistica della complessità della natura.

Infine Debaprasad vorrebbe aggiungere alcune parole riguardo la fine della storia, in particolare l’ultima riga, precisando però che lui è ateo:

“Stava così sentendo i sub-suoni. Stava urlando una parola: sphota (equivalente di scintilla, gioia), un termine cardine nella filosofia linguistica di Bhartrihari.”

Quest’ultima riga della Storia di Bharat porterà il personaggio alla cosiddetta “rinascita” dentro la sua vita da elaborare nel seguito ancora da scrivere. A quel punto dovrò spiegare la filosofia linguistica della parola “sphota” (scintilla).

Infatti, lo stesso Buddha era un non-credente della “rinascita”, che era una delle dieci akthayniyas (cose da non dire nè discutere visto che il parlare di Dio o la rinascita è sprecare il proprio tempo prezioso. Questo termine è importante anche nel contesto del silentema). Buddha rimproverò due dei suoi discepoli per avergli chiesto dello status di rinascita. Secondo Buddha, ciascuno può avvertire diversi tipi di “rinascita” (jataka) durante la propria vita con un nome statico (sthavira) se non fosse vittima della reificazione negativa. Da qui fu coniato il termine mahasthavirajataka (un nome proprio statico con diverse rinascite entro la vita di un singolo individuo). Bharat e Bharata – entrambi furono reificati nel senso positivo del termine. Si trattò di una giunzione liminale delle loro vite dal momento che scelsero il ‘ritiro’ dal lavoro alienato/estraneo (karmavirati).

Lascia che spieghi un po’ di più il concetto di identità e differenza nella fusione tra oggetto e soggetto usando un altro termine tecnico – un fenomeno molto studiato nella Filosofia Indiana – che è al tempo stesso un’identità (abheda) e una differenza (bheda) tra il Grande Io e il piccolo io – uguaglianza positiva così come negativa.


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