OBSOLETO < = > Vincenzo Agnetti

 

Ritratto di Dio – Vincenzo Agnetti

 

VINCENZO AGNETTI. A CENT’ANNI DA ADESSO
recitava il titolo della prima grande retrospettiva dedicata a Vincenzo Agnetti che si è tenuta a Palazzo Reale a Milano dal 4 Luglio al 24 Settembre settembre di quest’anno. Ecco noi possiamo dire a cinquant’anni da adesso per risalire alla prima edizione Scheiwiller del 1968 dell’antiromanzo per eccellenza, OBSOLETO di Vincenzo Agnetti, appunto.
Il nostro progetto di ristampa del libro prende avvio due anni fa circa e diventa una vera e propria riedizione, come giustamente sottolineava il critico Marco Meneguzzo alla presentazione del libro che abbiamo fatto sempre a Palazzo Reale verso la data di finissage.
Riprendere in mano OBSOLETO significava accollarsi tutta una serie di oneri non da poco. Intanto per dare una seconda vita a uno dei libri sperimentali più importanti e dimenticati della nostra letteratura, abbiamo deciso di evitare l’anastatica e di vestire con un nuovo formato e un taglio grafico mirato un libro che per sua natura non aveva bisogno, a nostro avviso, di essere “musealizzato” in un’edizione pedissequa all’originale. Questo ha comportato una riflessione serrata e sofferta sulla fedeltà al testo sorgente e dunque una serie di interventi e di accorgimenti che non alterassero quasi per niente l’impianto dell’opera, se non nell’impaginazione che giocoforza è cambiata in ragione del formato più grande che abbiamo adottato.


Perciò tutte le peculiarità grafiche e spazio-sintattiche sono state riproposte come in origine. Tuttavia per correttezza filologica abbiamo inserito in appendice al libro le riproduzioni delle pagine più “problematiche”.
Una curiosità che vogliamo rendere nota (e che ha comportato non pochi momenti di discussione) è la scelta del carattere “bodoni” per rappresentare OBSOLETO, o meglio per celebrare Agnetti attraverso il primo font della modernità e con cui sono stati vergati i libri “più belli del mondo”, con l’obiettivo di ascrivere OBSOLETO a “classico dell’avanguardia”.
La seconda cosa da fare era coinvolgere almeno due critici che potessero dare finalmente lustro a un’opera imprescindibile e che creassero un precedente sulla scrittura agnettiana (per OBSOLETO fa eccezione solo il saggio creativo di Corrado Costa “Guida del viaggiatore immobile” che uscì nel 1968 sempre per i tipi di Scheiwiller e che abbiamo per fortuna potuto inserire nel nostro volume). A tale proposito abbiamo potuto godere della prestigiosa partecipazione di Cecilia Bello Minciacchi, che avvia con il suo saggio il primo studio critico sull’opera letteraria di Agnetti, e del critico d’arte Bruno Corà, grande conoscitore dell’opera e amico dell’artista.
Il terzo ma non meno importante passaggio consisteva nel riattualizzare anche la copertina, mantenendo una continuità col passato. La preziosa collaborazione con la Fondazione Enrico Castellani ci ha permesso di inserire un nuovo lavoro di Castellani scelto per il dinamismo che sviluppa dalla prima alla quarta di copertina, aderendo così all’idea di fertile movimento rappresentata da OBSOLETO.

[dia•foria desidera ringraziare:
per il testo di Corrado Costa, Amedea Donelli e la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia per averne permesso la pubblicazione.

Germana Agnetti che ci ha amichevolmente accompagnato nelle nostre richieste e nel mondo del padre Vincenzo, nonché a tutto l’Archivio Vincenzo Agnetti, a Enrico Castellani e alla Fondazione omonima, con particolare riguardo a Federico Sardella.
Bruno Corà per l’eleganza con cui ha inquadrato il romanzo e la parabola artistica di Agnetti e Cecilia Bello Minciacchi per la preziosità del suo saggio, che inaugura la prima analisi letteraria di Obsoleto.

 

Caratteristiche del volume:
F.to: 14 x 20
Pagg.: 188
Copertina: colore
Confezione: brossura
Prezzo: euro 20,00

Il volume è a cura di Daniele Poletti e Giuseppe Calandriello. Con interventi critici di Germana Agnetti, Cecilia Bello Minciacchi, Bruno Corà, Corrado Costa e una nota di Daniele Poletti.

Il libro può essere richiesto direttamente all’indirizzo: info@diaforia.org o  sui maggiori siti librari in rete: IBS, AMAZON, LA FELTRINELLI, UNILIBRO, etc.

 

Vincenzo Agnetti nasce a Milano il 14 settembre 1926, si diploma al liceo artistico di Brera e segue la scuola del Piccolo Teatro.
Dalla fine degli anni ’50 la frequentazione di pochi amici, tra cui Castellani e Manzoni, gli permette di condividere aspirazioni e idee.
Nel 1962 parte per l’Argentina dove rimarrà fino al 1967, lavorando nel campo dell’automazione elettronica, esperienza che avrà un’eco profonda nei suoi lavori successivi, dalla Macchina Drogata al rivelatore di pause NEG. È questo il periodo dell’arte-no e dei quaderni scritti: uno straordinario serbatoio di idee e pensieri che chiamerà Assenza.
Nel 1968, al suo ritorno in Italia, inaugura la collana denarratori di Vanni Scheiwiller col romanzo Obsoleto – di cui Castellani progetta la copertina – e pubblica un’autoedizione della Tesi, che vedrà però le stampe solo nel 1970. Agnetti lavora su due fronti: da un lato i testi di critica, letteratura e poesia, dall’altro l’instancabile produzione di opere d’arte immaginate e portate a termine con la frenesia di chi presagisce che il tempo sarà poco rispetto al lavoro da svolgere.
Dal 1973 apre uno studio anche a New York, dove vivrà in modo intermittente, un altro motore di ispirazione che si riflette nel bilinguismo di tante sue opere.
Il 1° settembre 1981 muore improvvisamente a Milano, lasciando un’opera incompiuta, Il Lucernario, e alcuni versi illuminanti:

Di notte la Luna illumina
un Sole oscuro.
E volano Aureole
ad accendere il giorno

Prima della breve sera
torneremo alle armi
Saremo in Terra in Sole in Aria.
Poi col suonatore di fiori. Forse.

N.Y. 6/1981

Commenti

4 risposte a “OBSOLETO < = > Vincenzo Agnetti”

  1. Avatar Fulvio Magurno
    Fulvio Magurno

    Buonasera,
    vorrei acquistare il libro di Vincenzo Agnetti ” Obsoleto ” , ma non sono riuscito a trovarlo,
    è possibile acquistarlo da voi.?
    Cordiali Saluti
    Fulvio Magurno

  2. […] Il dispositivo adottato da Cingolani è un residuato low-fi del Novecento passato remoto, la buona vecchia macchina da scrivere analogica con la quale ha “battuto” i testi compresi in Mangio alberi e altre poesie (anche se, nell’impaginato del volume, è stato usato un font digitale che quello olivettiano si limita a emulare). A ragione Graffi vi vede l’omaggio a un precedente che nulla ha a che fare, almeno in apparenza, con la tradizione della «poesia visiva o concreta»: quello di Amelia Rosselli. Già troppi anni fa, in un volume intitolato La furia dei venti contrari, Laura volle commentare un raro scritto dell’84, di Rosselli, intitolato Chi scrive già elabora dati: nel quale, rispondendo al questionario di una rivista sulle conseguenze in letteratura dell’introduzione del computer, con decisione pari alla brevità Amelia dichiarava: «in poesia, quella macchina pensante che è la nostra psiche pensa in versi, in metri propri, in immagini classificate e di profondità varie […]. La elaborazione di dati d’esperienza, se diretta a scopo creativo-poetico, è scrittura computerizzata. In gioventù ambivo, piuttosto che alla gloria, a possedere un mio personale e corporale “cervello elettronico”. Sia nella metrica, sia tramite il pensiero, miravo a computerizzare, cioè a pensare fino in fondo, non essendo in possesso di alcuna macchina detta computer, ma immaginandomi tale». Come ricordava appunto Cingolani nel suo commento, la risposta del «cervello elettronico personale e corporale», che era negli anni Cinquanta e Sessanta la giovane Rosselli, fu la teoria – e la prassi – della «scrittura-cubo»: ossia «una struttura metrica graficizzata» i cui Spazi metrici (questo il titolo dell’arduo, enigmatico, pensato fino in fondo saggio allegato al libro d’esordio, Variazioni Belliche, pubblicato nel ’64) erano regolati – in termini “metrico”-lineari, cioè misurati col centimetro – dall’«utilizzo di una macchina da scrivere con caratteri IBM», in cui tutte le lettere occupavano il medesimo spazio. Tanto che nell’opera seconda (il magnifico fuoriformato Serie Ospedaliera, un 30 x 21 gloriosamente pubblicato nel ’69 dal Saggiatore), l’impaginato riprendeva lo specchio di pagina dattiloscritto dell’autrice. Proprio come ha fatto, esattamente mezzo secolo dopo, Laura Cingolani.Ma il «cervello elettronico» del tempo di dopo ha impresso, alla “poetica dattilografica” del proprio avatar, un significativo giro di vite. E allora i testi si succedono, nel libro, per lo più in una doppia versione, come testi a fronte in un libro di poesia tradotta: prima quella “visiva” e poi quella “lineare”, dove la figurazione è desunta da effetti meccanici della dattiloscrittura: sovrapposizione, trascinamento, resecazione, raddoppiamento speculare ecc. Che hanno per esito quasi sempre, più che un calligramma, quello che si potrebbe definire uno scotogramma: cioè una figura di cancellazione parziale, e sostanziale ambiguazione, del testo “di partenza” nonché, insieme, della figura “di arrivo” (che però, significativamente, vengono presentati in ordine inverso). Fin didascalico, utilmente, il primo esempio: l’attacco del testo “lineare”, a pagina dispari, suona «Riflesso nella nebbia era / stampato»; e “a fronte”, nella pagina a specchio, il medesimo testo è “annebbiato” dal raddoppiamento, e insieme dalla parziale scialbatura, del ductus meccanico (si pensa alle pagine conclusive di un capostipite della “letteratura visiva” ’68: la “de-narrazione” Obsoleto, di recente ripubblicata, di Vincenzo Agnetti): […]

  3. […] Il dispositivo adottato da Cingolani è un residuato low-fi del Novecento passato remoto, la buona vecchia macchina da scrivere analogica con la quale ha “battuto” i testi compresi in Mangio alberi e altre poesie (anche se, nell’impaginato del volume, è stato usato un font digitale che quello olivettiano si limita a emulare). A ragione Graffi vi vede l’omaggio a un precedente che nulla ha a che fare, almeno in apparenza, con la tradizione della «poesia visiva o concreta»: quello di Amelia Rosselli. Già troppi anni fa, in un volume intitolato La furia dei venti contrari, Laura volle commentare un raro scritto dell’84, di Rosselli, intitolato Chi scrive già elabora dati: nel quale, rispondendo al questionario di una rivista sulle conseguenze in letteratura dell’introduzione del computer, con decisione pari alla brevità Amelia dichiarava: «in poesia, quella macchina pensante che è la nostra psiche pensa in versi, in metri propri, in immagini classificate e di profondità varie […]. La elaborazione di dati d’esperienza, se diretta a scopo creativo-poetico, è scrittura computerizzata. In gioventù ambivo, piuttosto che alla gloria, a possedere un mio personale e corporale “cervello elettronico”. Sia nella metrica, sia tramite il pensiero, miravo a computerizzare, cioè a pensare fino in fondo, non essendo in possesso di alcuna macchina detta computer, ma immaginandomi tale». Come ricordava appunto Cingolani nel suo commento, la risposta del «cervello elettronico personale e corporale», che era negli anni Cinquanta e Sessanta la giovane Rosselli, fu la teoria – e la prassi – della «scrittura-cubo»: ossia «una struttura metrica graficizzata» i cui Spazi metrici (questo il titolo dell’arduo, enigmatico, pensato fino in fondo saggio allegato al libro d’esordio, Variazioni Belliche, pubblicato nel ’64) erano regolati – in termini “metrico”-lineari, cioè misurati col centimetro – dall’«utilizzo di una macchina da scrivere con caratteri IBM», in cui tutte le lettere occupavano il medesimo spazio. Tanto che nell’opera seconda (il magnifico fuoriformato Serie Ospedaliera, un 30 x 21 gloriosamente pubblicato nel ’69 dal Saggiatore), l’impaginato riprendeva lo specchio di pagina dattiloscritto dell’autrice. Proprio come ha fatto, esattamente mezzo secolo dopo, Laura Cingolani. Ma il «cervello elettronico» del tempo di dopo ha impresso, alla “poetica dattilografica” del proprio avatar, un significativo giro di vite. E allora i testi si succedono, nel libro, per lo più in una doppia versione, come testi a fronte in un libro di poesia tradotta: prima quella “visiva” e poi quella “lineare”, dove la figurazione è desunta da effetti meccanici della dattiloscrittura: sovrapposizione, trascinamento, resecazione, raddoppiamento speculare ecc. Che hanno per esito quasi sempre, più che un calligramma, quello che si potrebbe definire uno scotogramma: cioè una figura di cancellazione parziale, e sostanziale ambiguazione, del testo “di partenza” nonché, insieme, della figura “di arrivo” (che però, significativamente, vengono presentati in ordine inverso). Fin didascalico, utilmente, il primo esempio: l’attacco del testo “lineare”, a pagina dispari, suona «Riflesso nella nebbia era / stampato»; e “a fronte”, nella pagina a specchio, il medesimo testo è “annebbiato” dal raddoppiamento, e insieme dalla parziale scialbatura, del ductus meccanico (si pensa alle pagine conclusive di un capostipite della “letteratura visiva” ’68: la “de-narrazione” Obsoleto, di recente ripubblicata, di Vincenzo Agnetti): […]

  4. […] Il dispositivo adottato da Cingolani è un residuato low-fi del Novecento passato remoto, la buona vecchia macchina da scrivere analogica con la quale ha “battuto” i testi compresi in Mangio alberi e altre poesie (anche se, nell’impaginato del volume, è stato usato un font digitale che quello olivettiano si limita a emulare). A ragione Graffi vi vede l’omaggio a un precedente che nulla ha a che fare, almeno in apparenza, con la tradizione della «poesia visiva o concreta»: quello di Amelia Rosselli. Già troppi anni fa, in un volume intitolato La furia dei venti contrari, Laura volle commentare un raro scritto dell’84, di Rosselli, intitolato Chi scrive già elabora dati: nel quale, rispondendo al questionario di una rivista sulle conseguenze in letteratura dell’introduzione del computer, con decisione pari alla brevità Amelia dichiarava: «in poesia, quella macchina pensante che è la nostra psiche pensa in versi, in metri propri, in immagini classificate e di profondità varie […]. La elaborazione di dati d’esperienza, se diretta a scopo creativo-poetico, è scrittura computerizzata. In gioventù ambivo, piuttosto che alla gloria, a possedere un mio personale e corporale “cervello elettronico”. Sia nella metrica, sia tramite il pensiero, miravo a computerizzare, cioè a pensare fino in fondo, non essendo in possesso di alcuna macchina detta computer, ma immaginandomi tale». Come ricordava appunto Cingolani nel suo commento, la risposta del «cervello elettronico personale e corporale», che era negli anni Cinquanta e Sessanta la giovane Rosselli, fu la teoria – e la prassi – della «scrittura-cubo»: ossia «una struttura metrica graficizzata» i cui Spazi metrici (questo il titolo dell’arduo, enigmatico, pensato fino in fondo saggio allegato al libro d’esordio, Variazioni Belliche, pubblicato nel ’64) erano regolati – in termini “metrico”-lineari, cioè misurati col centimetro – dall’«utilizzo di una macchina da scrivere con caratteri IBM», in cui tutte le lettere occupavano il medesimo spazio. Tanto che nell’opera seconda (il magnifico fuoriformato Serie Ospedaliera, un 30 x 21 gloriosamente pubblicato nel ’69 dal Saggiatore), l’impaginato riprendeva lo specchio di pagina dattiloscritto dell’autrice. Proprio come ha fatto, esattamente mezzo secolo dopo, Laura Cingolani. Ma il «cervello elettronico» del tempo di dopo ha impresso, alla “poetica dattilografica” del proprio avatar, un significativo giro di vite. E allora i testi si succedono, nel libro, per lo più in una doppia versione, come testi a fronte in un libro di poesia tradotta: prima quella “visiva” e poi quella “lineare”, dove la figurazione è desunta da effetti meccanici della dattiloscrittura: sovrapposizione, trascinamento, resecazione, raddoppiamento speculare ecc. Che hanno per esito quasi sempre, più che un calligramma, quello che si potrebbe definire uno scotogramma: cioè una figura di cancellazione parziale, e sostanziale ambiguazione, del testo “di partenza” nonché, insieme, della figura “di arrivo” (che però, significativamente, vengono presentati in ordine inverso). Fin didascalico, utilmente, il primo esempio: l’attacco del testo “lineare”, a pagina dispari, suona «Riflesso nella nebbia era / stampato»; e “a fronte”, nella pagina a specchio, il medesimo testo è “annebbiato” dal raddoppiamento, e insieme dalla parziale scialbatura, del ductus meccanico (si pensa alle pagine conclusive di un capostipite della “letteratura visiva” ’68: la “de-narrazione” Obsoleto, di recente ripubblicata, di Vincenzo Agnetti): […]

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